Si dice che viaggiando i rischi che si corrono siano molto più alti, che molti luoghi siano pericolosi e che chi sceglie certe mete “se le va a cercare”… Non concordo con queste teorie laddove generalizzate, ma vi dico subito che la disavventura, in questo caso, poteva essere vissuta ovunque! Certo, quando sei lontano da casa, e magari anche in un piccolo villaggio della Cappadoccia in Turchia, il pathos sale e la confusione rischia di regnare sovrana… Ma procediamo con ordine.
Turchia 2009 (alias gli smartphone, ancora, non c’erano!)
L’occasione del viaggio era la splendida Turchia, in quell’occasione visitata zaino in spalla con mezzi locali. La Turchia si può girare serenamente e comodamente con questa modalità solo che ad agosto, sappiatelo, ci sono qualcosa come 30 gradi, a tratti 40 (e non sto usando iperboli). Alias: diomio datemi dei sali che la pressione è sotto le scarpe!
I sali erano diventati il must del viaggio non solo per me però. Anche gli altri ne facevo uso e abuso visto che i giramenti di testa erano all’ordine del giorno per tutti noi.
E poi quel giorno in Cappadoccia. Tappa a Goreme, meraviglioso villaggio che pare quasi una scenografia di un film.
Momento colazione. C’erano già circa 30 gradi nonostante fossero appena le 9.30 del mattino e nessuno di noi parlava visto che eravamo svegli da poco (e a stomaco vuoto!).
Ci fermiamo a fare colazione in un grazioso baretto, rigorosamente all’ombra.
Dopo mangiato, arriva il momento “sali minerali”. Non sto badando al mio amico, sono presa dal chiacchierare con l’altra amica in merito a quello che vogliamo fare durante il giorno. Intravedo però il mio amico con la coda dell’occhio.
E la scena che ricordo è: bustina versata nella bottiglietta di plastica con dell’acqua, un po’ di sbattimento della bottiglia per fare sciogliere i sali, lui che beve… e nel mentre che sta per finire esplode in una esclamazione, che non posso ripetere!
A quel punto l’attenzione passa su di lui.
“Che succede?”.
“Ho sbagliato bustina. Ho appena ingerito una bustina di DISINFETTANTE”…
Io ringrazio sempre la mia beata ignoranza, perché inutile dire che protegge tantissimo la mia (labile) psiche.
Traduco: al momento, non mi sono spaventata. Anzi! Ho anche sminuito vedendo che lui stava bene e che di certo non poteva succedergli chissà che… Se mai sarebbe stato un po’ male? (Per la cronaca, peggiore cazzata non potevo dirla!).
Per fortuna, il mio amico, ignorante come me, non è. Per sua sfortuna però, lui sapeva perfettamente di aver appena ingerito del veleno puro, solo non sapeva fino a che punto fosse grave la situazione.
Torna in stanza per leggere il bugiardino con le controindicazioni, e scopre quello che temeva: ingerire un simile contenuto comporta rischio di morte (di più no???).
ORA, voi potete immaginare la mia faccia? Ancora oggi lo stimo perché nonostante il panico vero lo dovesse vivere lui, sembrava saperlo gestire… (sia chiaro, sembrava! Perché il panico non poteva non averlo!).
A quel punto però ci attiviamo. Siamo in un villaggetto, e qualche informazioni ci serve MA attenzione che ai tempi nessuno di noi aveva smartphone e tantomeno la wifi era cosa comune!
Posti internet non ne avevamo visti, e tantomeno ospedali vicini o ambulatori o qualcosa che potesse indicarci “che diavolo facciamo adesso?”.
Chiamo quindi in Italia (chi altri se non lei?) la mia mamma (che se non sa, sa sempre dove chiedere!) ed entriamo in comunicazione diretta con il centro antiveleni di Milano (addirittura? Ma pure il centro antiveleni?… Sì!), e questa “dolcissima” signora inizia a crearmi un LEGGERO panico che IO dovevo sapere gestire visto che avevo tutti di fronte che mi guardavano.
Si scopre che: ingerire un disinfettante esterno è come bere della candeggina (circa un bicchiere), che vomitare è solo più pericoloso per via di emorragie interne (e lui ovviamente l’aveva fatto), che serve bere latte o yogurt e andare al volo all’ospedale!
Tutto bene quindi?!
La fortuna è stata che, comunque sia, eravamo in Cappadoccia, luogo isolato sì, ma notevolmente turistico.
Taxi al volo con destinazione “l’ospedale più vicino” (noi non avevamo idea di quale fosse, ma il taxista sì).
Beh, vi dirò che per fortuna l’ospedale della Cappadoccia è stato incredibilmente efficiente. Nonostante neppure il dottore di guardia sapesse cosa si doveva fare, anche lui, entra in contatto con il centro antiveleni (questa volta turco però) e seguono le procedure standard che, in questo caso, non prevedono lavanda gastrica.
E per quanto tengano il mio amico per ore, alla fine tutto va bene, lo rilasciano… Con un avvertimento: se senti qualcosa di strano, torna subito! (Ma dico io, ma non puoi stare direttamente lì così sto più serena???)
In tutto questo una cosa mi ha “rattristata”: lo spavento è stato talmente grande, che anche la parte della presa in giro, è poi passata in secondo piano. E ancora oggi quando tiriamo fuori l’aneddoto in realtà non è che ne rido tantissimo…
Che io dico, per una volta che avevo finalmente l’occasione di potermi rivendicare un po’ per tutte le stronzate che faccio io, niente!
Il mio amico ne ha fatta una tale che non permette neppure di riderne?
PS: per farvi capire perché mi rattristo di questa mancata occasione di derisione, nel dire al mio amico che volevo scrivere questo post, il suo commento: “Credo sia il post meno interessante di sempre”… Adoro i miei amici!
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