
Ispuligidenie
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Il racconto del Selvaggio Blu di Marco: giorno per giorno
Foto e articolo di Marco Lascialfari (Firenze)
POST CON TUTTE LE INFORMAZIONI PRATICHE:
Selvaggio Blu: mini guida per il trekking più difficile d’Italia
Giorno 1: da casa alla base di partenza
Con il mio amico Sauro partiamo da Firenze nel tardo pomeriggio. Arriviamo a Livorno dove ci imbarchiamo per Olbia e qui, la mattina successiva, prendiamo a bordo dell’auto una coppia proveniente dalla Baviera. Ancora un po’ di strada e arriviamo a Santa Maria Navarrese. Durante il pomeriggio incontriamo gli altri compagni di trekking, 7 nuovi amici lombardi.
Alle 17 abbiamo appuntamento al porto di Santa Maria Navarrese con Claudio Sandro e Manuela di Explorando Supramonte. Il nostro trekking non parte da Pedralonga che, normalmente è la base di partenza del Selvaggio Blu, ma dall’interno. Carichiamo i due fuoristrada con tutti i bagagli e partiamo per l’ovile Ginnirco che sarà la nostra base di partenza. Superiamo Baunei e, abbandonata la strada asfaltata dell’altopiano del Golgo, percorriamo per alcuni chilometri la strada sterrata. Incontriamo un tizio che, ci dicono, trascorre alcuni mesi in questa zona vivendo in una tenda assieme ai suoi 2 cagnolini. E’ un broker finanziario e qui lo chiamano “su matematicu”.
All’ovile ci aspetta Franco, anche lui fa parte del gruppo di Explorando Supramonte, che ha preparato una cena di benvenuto da urlo: porceddu, salumi, fegato di maiale fritto, melanzane e zucchine grigliate, formaggi, ricotta salata, ricotta fresca con miele di corbezzolo, verdure e frutta fresca, … e poi non mi ricordo … anzi sì! Dolci, vino e mirto! Dopo cena montiamo le tende (o distendiamo i materassini nell’ovile o sotto precari ripari) e cerchiamo di dormire.
Giorno 2: da Ginnirco a Porto Pedrosu
Mi alzo presto, faccio un giro per alcune foto e poi, assieme agli altri facciamo colazione.
Non manca nulla così prepariamo panini e frutta da consumare durante la giornata e partiamo guidati da Sandro. Il sentiero è appena accennato, il piede non poggia mai in piano, occorre sempre stare attenti ma marciamo spediti nella macchia. Grossi e rari lecci (in sardo elige) cespugli di terebinto (accodro), corbezzoli (olidone), enormi olivastri (oggiastro), profumati elicriso e rosmarino, philirea, ecc. ci accompagneranno fino alla fine del trekking. Durante questa tappa incontriamo i ruderi di quello che una volta fu l’orto di un pastore. I massi e le pietre sono di più della poca terra coltivabile e ci dicono quanto dura doveva essere la vita. In lontananza un grosso omino di pietre ci ricorda i primi tentativi fatti quasi duecento anni fa per tracciare le mappe della costa Sarda.
Salta subito agli occhi la totale assenza di acqua, ma Sandro sale su un masso e ci dice che in quel punto c’è tanta acqua che potrebbe dissetarci tutti fino al termine della tappa. Il masso su cui è salito Sandro nasconde, infatti, una cavità. L’acqua piovana entra all’interno attraverso 7 aperture e resta dentro grazie anche al fatto che gli ingressi sono parzialmente chiusi da sassi che limitano l’evaporazione (Pressu de sette buccas). L’ingegno e la perfetta conoscenza del territorio e della natura sono alla base della sopravvivenza della popolazione locale nonostante la durezza della natura.
Proseguiamo fino ad una terrazza naturale che si affaccia a picco sul mare sulla verticale della grotta dei Colombi (300 metri sotto). Più avanti troviamo una pianta di terebinto enorme. Quello che normalmente ha le dimensioni di un cespuglio sembra una quercia dal tronco disteso. Infine superati alcuni canaloni arriviamo a quello che sfocia nella baia di Porto Pedrosu, il termine della tappa. Un tuffo in mare, nell’acqua gelida di fine aprile, e attesa che il gommone dell’organizzazione ci porti la cena e i borsoni con le tende, i materassini e i sacchi a pelo. Montiamo tende e giacigli nelle piazzole sotto la vegetazione e Franco dà ancora il meglio di se proponendoci una cena a base di un enorme pezzo di vitello arrostito davanti ai nostri occhi. Le altre cose le tralascio, ma sono tutte leccornie. Chiacchiere, brindisi e poi si dorme.
Piccola nota.
E’ arrivato anche un nuovo componente dell’organizzazione: Nicola. E’ giovanissimo ma bravo e i suoi aneddoti sulla vita dei vecchi pastori ci fanno conoscere un po’ della vita di allora. Ho appena scoperto, un anno dopo il mio trekking, che Nicola ha realizzato (nell’autunno del 2017) l’impresa di percorrere il Selvaggio Blu+Blu in solitaria ed autonomia (corde ed attrezzatura completa) in 11 ore. TANTA roba!
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3 giorno: da Porto Pedrosu a Cala Goloritzè
Smontiamo tutto e carichiamo sul gommone ciò che sarà utile solo al termine della tappa odierna. Poi, zaini in spalla, partiamo.
Arriviamo ad una baia successiva: Porto Cuao (porto nascosto) che vide consumarsi al suo interno, nel 1963, il tragico naufragio del mercantile “Levante”. Durante una tempesta il cercare rifugio dentro a questo piccolo golfo portò alla completa distruzione del mercantile e alla morte di tutto l’equipaggio. Il materiale recuperato fu invece utilizzato, dai pastori intervenuti sul posto, per le loro necessità.
Superate piazze carbonaie e strutture dei carbonai venuti dal continente, ci arrampichiamo sulla parete di Serratargius tramite passaggi su roccia aiutati da tronchi di ginepro che ci fanno da appoggio poi, procedendo, incontriamo l’ovile di Fenostrainos. Questo è stato recentemente restaurato. Come tutti è diviso in due diverse strutture: la zona per le capre (sa corte) e la struttura per il pastore (su baraccu). La porta del su baraccu è proprio la porta che fu del Levante.
Proseguiamo verso punta Salinas e poi scendiamo all’ovile sottostante dove mettiamo le nostre firme sul registro presente nel su baraccu. La scala in ginepro (su scalone) utilizzata dal pastore ci fa provare l’emozione di essere pastori per un momento. Quindi ci dirigiamo verso punta Cariddi da cui vediamo la nostra meta: la spiaggia e la roccia di Goloritzè. Un suppostone di roccia alto circa 130 metri e meta di scalatori (dal livello 6° A… a salire)
Il ghiaione che ci porterà fino ad incrociare il sentiero che parte dal parcheggio sul Golgo per giungere a Goloritzè è terribile e infinito. Finalmente scendiamo nell’alveo del torrente e successivamente scendiamo sulla spiaggia tramite alcune scale di legno.
La spiaggia è bellissima. Sovrastata da un boschetto dove alcuni di noi mettono le tende per la notte (altri dormiranno sulla spiaggia). Ceneremo direttamente sulla spiaggia con Fregula allo scoglio e pesce arrosto.

La spiaggia di Goloritzé
4 giorno: da Goloritzè a Cala Mariolu (Ispuligidenie)
Si parte su passaggi friabili e ripidissimi (lederes) salendo verso la parte alta della scogliera. Fra poco ci attende il passaggio più tecnico e bello: abbiamo già indossato imbraco, longe e dissipatore. Sopra la spiaggia di Sabba e Daddai (significa “Acqua più in là” per distinguerla da quella che sgorga a Goloritzè) entriamo in un grottone aperto, poi attaccati ad una ferrata raggiungiamo uno spuntone a picco sul mare. Una vista mozzafiato.
Ci arrampichiamo per una trentina di metri e proseguiamo sul sentiero che troviamo davanti a noi. Una sosta nella grotta di Cule Salto (in culo al territorio) per mangiare un panino e la marcia prosegue verso cala Mariolu. Così chiamata dai pescatori di Ponza che qui lasciavano il pescato prima di consegnarlo ai mercati. Trovate diverse volte le reti tagliate e il pesce portato via da un misterioso ladro chiamarono così la spiaggia: Mariolo.
Il ladro non era altro che la foca Monaca (ormai estinta) che faceva man bassa del pesce.
Invece i pastori Sardi chiamano, con molta più poesia, questa spiaggia di sassolini bianchissimi Ispuligidenie (le pulci di neve). C’è da dire che in Sardo i colori non hanno un nome proprio ma sono indicati con neve (bianco), fogo (rosso), cielo (azzurro), ecc.
Ceniamo, vicino al vecchio forno carbonaio restaurato recentemente, con carne arrosto e dormiamo nelle piccole piazzole.
5 giorno: da Ispuligidenie a Grotta del Fico
Smontato il campo e consegnato i bagagli ingombranti ripartiamo su un ghiaione instabile. Poi il sentiero si sviluppa lungo la vegetazione fino ad arrivare a cala Mudaloru. Fino a poco tempo fa qui c’era una caverna a cui si poteva accedere direttamente dal mare con piccole imbarcazioni. In una notte di pioggia (2009) è venuta giù, lungo il canalone, una frana di sassi e ghiaia che ha formato una spiaggia sassosa. Ora si entra nella grotta passando a piedi sulla nuova spiaggia.
Risaliamo anche questo stretto canalone e arriviamo ad una falesia dove passiamo in una nicchia lunga alcune decine di metri poi raggiungiamo una parete che ha un foro che permette il passaggio da un lato all’altro della roccia. Foto di rito e ripartiamo.
Proseguiamo ancora verso la nostra meta ma prima dobbiamo affrontare, a breve distanza l’una dall’altra alcune calate in corda doppia (17, 10, 10 metri). Per me è come andare in prima elementare non avendo mai fatto alpinismo. Poi anche l’ultima discesa di circa 30 metri, che ci fa atterrare direttamente all’ingresso della Grotta del Fico, è presto alle nostre spalle.
Gli amici tedeschi ci salutano qui, devono rientrare in Germania per lavoro e così si imbarcano sul gommone venuto a portarci i nostri bagagli.
Ritroviamo Nicola che, dopo cena, ci fa da cicerone per una visita all’interno della grotta… e poi mettiamo materassini e sacco a pelo e la grotta diventa la nostra tenda.
6 giorno: da Grotta del Fico a Cala Biriala
Partiamo direttamente dalla scogliera e dopo un traverso sul mare arriviamo ad una grotta (De su Ecciu Marinu) caratterizzata da quattro aperture. Due di queste aperture permettono il passaggio da una parte all’altra della scogliera.
La attraversiamo e passiamo dall’altra parte della scogliera. Arrampichiamo ancora e arriviamo all’ovile Piddi. Seguendo il sentiero raggiungiamo una grossa spaccatura nella roccia. Questa strettoia dalle alte pareti (sa Nurca) era utilizzata come trappola per la cattura delle capre selvatiche. Adesso inizia una parte tecnica con discese in corda mozzafiato. La prima di 25 metri, la seconda di 50. Il sentiero riprende la discesa verso la scogliera di cala Biriala. Proprio sulla verticale degli scogli che circondano la spiaggia inizia un’altra discesa in corda (50 metri) che ci conduce al termine della tappa. Calarsi direttamente sugli scogli e con in bagnanti che se ne stanno a guardarci a naso in su … che libidine!
Non ci accamperemo qui per la difficoltà di allestire il campo (non si possono mettere le tende sulla spiaggia). Così arriva il gommone e torniamo alla grotta del Fico dove trascorreremo un’altra notte.
Ovviamente cena da hotel di lusso: una specialità chiamata “Fa chin lardu” (fave con lardo). Una sorta di zuppa con fave, cotenne e zampetti di maiale, finocchietto, patate, cipolle, carote e tanto altro e il ciclopico pentolone è spolverato in un attimo.
7 giorno: da Cala Biriala a Cala Sisine
Il gommone ci riporta direttamente alla scogliera di Cala Biriala. Individuiamo la vecchia scaletta utilizzata dai carbonai per l’imbarco del carbone, ci diamo una mano ed uno alla volta raggiungiamo il pianoro a qualche decina di metri sopra il pelo dell’acqua.
Il sentiero appena trovato, incontra, nella vegetazione, il percorso originario del Selvaggio Blu e dopo il bosco di Biriala, attraverso passaggi realizzati dai carbonai e che, dopo secoli di separazione, hanno unito i diversi boschi, attraversiamo quello di Isuili e raggiungiamo quello di Oronnoro.
Ancora 2 brevi arrampicate e poi, davanti a noi, si apre una zona da incubo: nel 2015 una immensa frana staccatasi dalla parete rocciosa ha creato una zona larga diverse centinaia di metri dove massi ciclopici e ghiaioni instabili la fanno da padroni. Il masso principale penso sia più alto di 30 metri e sta ritto nel terreno, conficcato con la punta verso il basso.

La zona franata
Superata questa zona ci attende ancora una calata di 50 metri e poi, a seguire un’altra da 15 metri. Una rapida discesa verso la spiaggia e un urlo di gioia davanti ad un mare che più blu non si può.
Abbiamo raggiunto il traguardo del nostro trekking … abbracci e strette di mano e una bella serie di birre suggellano la vittoria raggiunta superando scogliere, discese mozzafiato, rovi, piedi e ginocchia doloranti.

Cala Sisine
Il gommone arriva e saliamo a bordo. Dal mare percorriamo al contrario quanto fatto in sei giorni di cammino. Rivediamo le spiagge e le scogliere: siamo passati da lì? Com’è possibile? Abbiamo dormito su quella spiaggia? Che bella! E quella grotta, te la ricordi? Guarda là la ferrata! Ma siamo matti? …
Negli occhi e nel cuore restano le immagini e i nomi degli amici che con me hanno condiviso questa avventura.
Marco Lascialfari, nonostante non abbia la frangetta e non sia neppure una ragazza (ve ne siete accorti per caso?)… è l’autore di questo post e il protagonista di questa esperienza.
Se volete scrivergli: fringeintravel@gmail.com
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